Energia: nuovo governo, nuovo ministro, stessi problemi

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31 Mar 2021

Nei quasi cinque anni di vita del nostro giornale sono cambiati ben quattro Governi.

Ora, il cambio di organizzazione e conduzione politica del settore è epocale.

A cura di Ennio Fano
Nei quasi cinque anni di vita del nostro giornale sono cambiati ben quattro Governi. Su ciascuno abbiamo riposto fiducia per individuare un percorso condiviso nel settore dell’energia. A tutti i rispettivi ministri abbiamo di volta in volta, come OO.SS., chiesto l’apertura di un tavolo per una consultazione sistematica su un settore vitale per l’economia e la ripresa industriale. Non c’è stato l’ascolto necessario. Ora, il cambio di organizzazione e conduzione politica del settore è epocale: tutte le competenze in materia di energia ed ambiente confluiscono nel nuovo Ministero della Transizione Ecologica (MiTE). Un cambiamento di approccio di due materie energia e ambiente, storicamente in contrapposizione di “interessi”. Il convogliamento dei due interessi sotto un’unica guida e visione politica, potrebbe aprire rischi di sbilanciamento di posizioni. Non a caso, nel passato, il Ministero dello Sviluppo Economico veniva affidato ad una forza politica di matrice “industriale” rispetto a quella di appartenenza del Ministro dell’Ambiente. Ora, il cambio di organizzazione e conduzione politica del settore è epocale. Le cose hanno funzionato abbastanza bene, almeno fino al primo decennio degli anni 2000. Prima di entrare nel merito, è doveroso comunque segnalare alcune decisioni positive dell’ultimo Governo, adottate con il decreto “milleproroghe”, quali: lo spostamento a gennaio 2023 della fine del mercato tutelato (che si auspica venga mantenuto), il rinvio a settembre 2021 del piano per le attività di trivellazione ricerca idrocarburi , il riordino dei tempi per il deposito nucleare nonché il mantenimento per tutto il 2021 degli incentivi per le aziende agricole che realizzano impianti biogas da scarti agricoli.

Veniamo al debutto del nuovo Ministro Roberto Cingolani, un manager preparato ed esperto che dovrà cimentarsi con la gestione di un superministero. Compito non semplice. Le difficoltà sono di due specie, la prima riguarda la funzionalità operativa del Ministero, dove scarseggiano le competenze professionali mentre abbondano funzionari inclini a complicare i procedimenti. A questo si aggiunge la miriade di Commissioni (VIA, VAS, AIA, …) formate, negli ultimi anni, con logiche politiche a scapito delle competenze; ed i risultati negativi sono palesi. La seconda trae origine da una non chiara posizione nazionale sul percorso di attuazione del PNIEC. La politica ambientale italiana si è finora distinta per una forte proattività verso traguardi ambiziosi, da primi della classe, con sforzi sproporzionati con la nostra condizione. Il processo di transizione energeticaambientale è necessario ed irreversibile, però il passo e la cadenza di marcia, se non ben ponderati, potrebbero sacrificare la ripresa economica e lasciare una platea inaccettabile di disoccupati. Basti ricordare quanto è stato vano l’impegno europeo sul taglio delle emissioni di CO2. Mentre l’Europa dal 2000 al 2020 ha ridotto le proprie emissioni di 1 miliardo di tonnellate, nello stesso periodo, il resto del mondo le ha aumentate di ben 13 miliardi (Cina ed India in testa). Vieppiù il positivo risultato europeo è costato molto in termini di PIL che in Europa dal 1990 al 2019 è aumentato mediamente del 1,7% (l’Italia solo lo 0,8 %) l’anno, contro il 2,5% degli USA ed il 9% della Cina. Se a questo si aggiungono, per il solo fotovoltaico in Italia, incentivi generosi per 13 miliardi l’anno fino al 2030, viene da riflettere sulla opportunità di proseguire senza un accordo globale vincolante.

È utile rammentare che, a giustificazione degli incentivi, si dovrebbe accompagnare lo sviluppo di filiere industriali nazionali. Oggi invece in Italia non esistono praticamente stabilimenti di produzione di pannelli fotovoltaici o di pale eoliche. Questi vengono realizzati in Cina e richiedono per la loro manifattura molta energia (che lì producono con carbone, ragion per cui i costi sono molto bassi). È su questo fronte che le OO.SS. vogliono l’incontro con il Ministro e con il Governo intero. Le scelte di oggi con il Recovery Plan sono cruciali; si deve puntare a progetti realistici e senza “intimidazioni” ideologiche. Nel primo intervento del nuovo Ministro al Parlamento si è rilevata molta genericità nei contenuti. Il PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza) è il contenitore programmatico – politico per la nostra transizione, ma attenzione ad assumere posizioni di leadership in Europa, potrebbe costarci caro. Il contributo alla lotta sui cambiamenti climatici va proporzionato all’incidenza effettiva delle nostre emissioni di CO2. L’Italia è un piccolo Paese, con caratteristiche peculiari nel turismo (arte e bellezza dei territori) ed in agricoltura che vanno salvaguardate e valorizzate. Le parole del Ministro Cingolani al Parlamento “… abbiamo delle vulnerabilità, delle fragilità, e quindi dobbiamo innanzitutto proteggere e migliorare le nostre eccellenze e allo stesso tempo migliorare il nostro territorio. La sostenibilità è un compromesso, non esiste una ricetta unica che massimizza il risultato e annulla i problemi. Essere sostenibili e avere una transizione ecologica di successo vuol dire trovare il giusto compromesso tra istanze diverse” sono molto ponderate, ma per ora molto generiche.

Come Sindacato vorremmo contribuire a questo impegno, rammentando al Ministro, fra le tante problematiche, almeno quelle riguardanti: la necessità di mantenere competitive le nostre produzioni, allineare i costi reali delle bollette energetiche a quelli europei, pianificare con le Regioni la potenzialità vera delle installazioni eoliche e fotovoltaico, valorizzare le biomasse ed i rifiuti urbani. Essere sostenibili e avere una transizione ecologica di successo vuol dire trovare il giusto compromesso tra istanze diverse. Infine, fare chiarezza sui tempi, modi e costi per l’introduzione del vettore idrogeno, capire la praticabilità di produrre “acciaio sostenibile”, avviare la carbon capture sia utilizzando i vecchi pozzi delle estrazioni sia lanciando una forestazione mirata, utile anche al turismo ed a prevenire il dissesto idrogeologico. Calcolare le vere potenzialità di riduzione dei consumi residenziali, favorire la mobilità elettrica nelle grandi aree urbane. Il Recovery Fund è lo strumento finanziario, dipenderà tutto dalla stesura del Recovery Plan con progetti fattibili, senza dispersione di inutili risorse su monopattini ed altre amenità.

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