Da “Industriamoci” di Gennaio 2021
“E’ abbastanza presto, se è fatto abbastanza bene”
È una frase che hanno attribuito a Catone il censore. Presto e bene, facile a dirsi, specie in una pandemia che si reinventa in continuazione pericolosamente minacciando la salute e la vita di tante persone. Eppure, i tempi e la qualità delle scelte appaiono sempre più determinanti per saper cogliere l’uscita dalla pandemia come l’opportunità da non perdere per tornare a crescere.
La velocizzazione della campagna di vaccinazione è lo snodo fondamentale, è chiaro che la prima svolta è questa. Abbiamo molta strada da fare. Le restrizioni sotto Pasqua ci hanno fatto toccare con mano che illusioni o buonismo pseudo assistenziale non ci hanno fatto fare mezzo passo avanti, occorre adesso avere la determinazione e la pazienza per non cedere di fronte alle tante e note difficoltà e guardare avanti. La velocizzazione della campagna di vaccinazione è lo snodo fondamentale, ormai è chiaro che la prima svolta è questa. Non porta al Paradiso terrestre, ma ci consente non solo di ridurre sensibilmente l’emergenza sanitaria, ma anche di potere contare su migliori condizioni per puntare verso la necessaria ripresa economica.
Altri lo stanno già facendo. Le stime Ocse e dei grandi osservatori economici internazionali ci disegnano scenari di crescita di Usa, Cina, India ed Europa assai vigorosi dai quali è facile arguire che il nostro principale pericolo per non restare ancora una volta fanalini di coda dello sviluppo sarà la lentezza delle decisioni anche in presenza delle risorse del Recovery.
Solo per gli Usa e la Cina si intravedono progressi di Pil superiori al 6%. La loro è una sfida epocale ma lo sanno talmente bene che non intendono minimamente perdere il passo nei confronti del competitore. Ma comportandosi così divengono anche motori di ripresa mondiale. E così i 1900 miliardi di dollari che vengono immessi nell’economia dalla nuova amministrazione americana sono soprattutto indirizzati ai consumi ed alla occupazione (a febbraio negli Usa sono stati creati circa 380 mila posti di lavoro con una disoccupazione attorno al 6%). E sui consumi interni anche la Cina ha puntato assai più che in passato.
Si potrebbe temere una nuova ondata inflazionistica nel mondo? Il rialzo dell’inflazione, termine economico ormai quasi desueto, è nelle cose. Ma la guardia delle Banche centrali, Fed in testa, pare orientata a “sedare” eventuali allarmismi ed al tempo stesso a mantenere a rotta delle principali economie verso la ripresa garantendo i bilanci pubblici. Ecco perché diverse stime cercano di rasserenare i mercati promettendo livelli di inflazione fra il 2 ed il 3% nel prossimo periodo. Sono stime che sottintendono tutte, e non potrebbe essere altrimenti, il declino e la messa sotto controllo del covid-19. E vanno quindi prese con beneficio di inventario. Ma ci ricordano comunque che non solo la ripresa nel mondo avrà le sue locomotive, ma che essa almeno per vari mesi ancora si muoverà sotto lo sguardo vigile e rassicurante delle Banche centrali.
A maggior ragione non possiamo accontentarci del “conforto” del Recovery fund, né perdere altri mesi. Finora abbiamo sentito più volte esclamare con enfasi “è il momento di correre” ma poi non è avvenuto nulla di conseguente. Con il governo Draghi è indispensabile liberarsi di ogni immobilismo: non dobbiamo sprecare il vantaggio della uscita dalla pandemia. Le previsioni sul nostro Pil sono ad oggi inferiori a quelle medie dell’Europa e si ipotizza che l’Italia dovrà attendere il 2022 per cominciare a vedere un recupero di quanto perso in termini di Pil con più sostenuti trend di crescita. E non possiamo neppure cavarcela con un auspicabile aumento dei consumi: abbiamo da fronteggiare una situazione occupazionale molto seria, necessità assistenziali altrettanto pesanti, diseguaglianze territoriali e sociali maggiori di altri nostri Paesi competitori. Per tali motivi queste sono le settimane per mettere a punto la macchina per la ripresa economica e sociale. Solo con delle prospettive chiare si potrà ricreare un clima di fiducia là dove l’esponenziale crescita del risparmio finora ha segnalato sfiducia sul futuro, così come lo stesso messaggio arriva da quelle fasce sociali che non riescono ad uscire dalla incertezza della loro condizione economica.
Vanno accelerati tutti i processi che vanno nella direzione del ritorno alla crescita. Dobbiamo uscire dai paradossi italiani peggiori: come quello che ci fa scivolare fra gli ultimi Paesi europei ad aver immesso realmente nella società gli aiuti promessi anche perché molti strumenti legislativi decisivi per fornire aiuti e risorse ai lavoratori ed alle attività economiche come i decreti attuativi delle norme che dovevano renderli praticabili sono rimasti inattuati.
Anche per tale motivo dobbiamo prendere atto che uno dei primi positivi atti del Governo Draghi è stato quello di stipulare un accordo con Cgil, Cisl e Uil sulla riorganizzazione della Pubblica Amministrazione. Un atteggiamento importante nelle intenzioni ma anche nella scelta di affrontare il problema direttamente con le organizzazioni sindacali.
Vanno accelerati tutti i processi che vanno nella direzione del ritorno alla crescita. L’impresa non è da poco. Scriveva molto tempo fa un esperto di Pubblica Amministrazione come Sabino Cassese: “gli storici delle rivoluzioni da quella francese a quella russa, hanno spiegato da tempo che anche i moti sociali e politici più violenti non hanno cambiato le strutture politiche amministrative”. Un’impresa difficile, certo, ma essenziale.
Ed occorre proseguire sulla via del confronto, della concertazione, con le parti sociali. Anche per rianimare una speranza forte di cambiare le cose che resta presente nel mondo del lavoro. La tenuta del mondo del lavoro ha impedito che la sfiducia si tramutasse in rassegnazione. Questa “diga” sociale molto concreta ora va rafforzata con i fatti. E non sarebbe male interrogarsi sulla possibilità di valutare se esistano le condizioni per un accordo generale sulla ripresa come è già avvenuto in fasi cruciali delle nostre crisi economiche e sociali del passato. Un accordo che metta di fronte tutti i protagonisti a responsabilità precise, ma che offra con chiarezza anche gli obiettivi le garanzie in grado di proiettarci tutti oltre questo momento tanto complicato.
L’attuale governo non può fallire questo appuntamento: ridisegnare il ruolo dello Stato, le priorità, i tempi. Farlo anche nel corso di un confronto con imprese e sindacati potrebbe significare molto per le tante aspettative che nel Paese attendono risposte e che non le hanno avute dalle sbandate populiste.
E potrebbe con una azione precisa e puntuale sulle emergenze del Paese anche incoraggiare nel sistema politico la propensione a ridisegnare strategie, ruoli e collocazioni dei partiti.
Un futuro nel quale idee e scelte concrete ed un ruolo centrale per il lavoro prendano il posto che loro compete. L’esempio più evidente è il Pd che ha visto il cambio della guardia fra Zingaretti e Letta. La nuova prospettiva sembra essere quella indicata nel richiamo di Letta non solo all’articolo 49 della Costituzione (“tutti i cittadini hanno diritto ad associarsi liberamente…) ma anche alla suggestione proposta di scelte di partecipazione anche nella vita economica e produttiva. In entrambi i casi però il percorso sarebbe illusorio se non si rimettesse in agenda il protagonismo dei lavoratori. Una svolta nella vita dei partiti contrassegnata da un nuovo capitolo di partecipazione sarebbe davvero un inizio di grande cambiamento, mandando in soffitta dirigismi, logiche di clan, una visione contingente del potere senza progettualità. Ma ci vuole una reale apertura al mondo del lavoro, ovvero là dove si gioca la vera sorte del nostro Paese. Del resto, la movimentazione politica non è limitata al Pd. Pensiamo alle traversie di +Europa, ma anche al recupero di una politica moderata di quanto resta di forza Italia ed ancora alle inevitabili pressioni della imprenditoria del nord sulla Lega. Per non parlare della metamorfosi che si intravede nel movimento dei 5stelle che paiono affidarsi ora alla guida di Conte. Tutto pare essersi messo nuovamente in cammino. La direzione appare ondivaga, ma almeno ci sottrae al rischio di stagnazione politica e sociale. E può offrire sbocchi davvero interessanti per il nostro futuro. Un futuro nel quale idee, proposte, scelte concrete ed un ruolo centrale per il lavoro prendano il posto che loro compete.