È sull’idrogeno, e sul progetto Eni di Ravenna, che la maggioranza ha consumato una delle fratture più gravi, e più nascoste, sul Recovery Pian. Sui grandi interessi della produzione dell’idrogeno, con C02 (blu) o senza (verde) si sono scontrate le grandi holding di Stato, il Pd (soprattutto quello emiliano) e i sindacati da una parte e dall’altra i Cinque stelle
Opposte le strategie di Eni e Enel. Ecco come è andata. Il progetto dell’Eni era – e resta quello di trasformare 400 siti sul fondo dell’Adriatico, che un tempo erano pieni di gas naturale e ora sono vuoti, nei più grande magazzino al mondo di stoccaggio della C02, il nemico numero uno dei cambiamenti climatici. In quei depositi sottomarini, si potrebbe sigillare l’anidride carbonica prodotta dalle centrali a gas destinate a produrre idrogeno, il “carburante” pulito del futuro. Poteva essere un’occasione, ma non lo è stata. Perché il progetto prima è stato inserito nel Piano nazionale di rilancio italiano, ma nella versione finale delle 167 pagine del Piano varato dal Consiglio dei ministri il 12 gennaio non se ne trova traccia. Tutti d’accordo nel cancellarlo? Non proprio. La battaglia c’è stata, per quanto – è il caso di dirlo -sotterranea. Tra i sostenitori dell’idrogeno blu (prodotto con il gas catturato e imprigionato) e quelli dell’idrogeno verde (prodotto solo da impianti rinnovabili). Entrambe le tecnologie arrivano allo stesso risultato: produrre l’idrogeno che il nostro Recovery Pian indica tra gli obiettivi fondamentali per la missione green. Per arrivarci, ci sono due strade: quella di farlo completamente green, attraverso energia elettrica pulita, fotovoltaico, solare o idroelettrico (dove l’Enel è ben attrezzata) o quelladi assecondare una transizione in cui l’idrogeno venga prodotto con centrali alimentate a gas naturale (progetto Eni). Tirate le somme, nel Recovery Plan – versione finale – la scelta è caduta sull’idrogeno green, come rivela il mancato finanziamento del progetto dell’Eni. La scelta strategica destina 2 miliardi all’idrogeno, e fin qui ci siamo. Ma sul come produrre l’idrogeno parlano gli stanziamenti: 4 miliardi per le energie rinnovabili, una decina di Hydrogen Valley, passaggio dell’Uva all’acciaio verde, e soprattutto investimenti sui macchinari da elettrolisi (il processo che estrae l’idrogeno dall’acqua attraverso l’energia pulita). Eni non si arrende e il progetto di Ravenna si farà lo stesso. Dovrà finanziarlo autonomamente. Ma ha trovato dalla sua parte i sindacati. «Autolesionismo e gravi danni per l’occupazione», hanno dichiarato i responsabili delle organizzazioni dell’energia di Cgil e Uil, Marco Falcinelli e Paolo Pirani. Una posizione, quella dei sindacati, non considerata dal governo e che non si limita alla semplice difesa dell’occupazione. Basta leggere il documento redatto da Cgil, Cisl e Uil, “La giusta transizione energetica”, dove si spiega perché – in via transitoria la strada per l’idrogeno deve passare per il gas, a cominciare dal fatto che per mettersi a produrre idrogeno con energia elettrica pulita bisognerà aumentare il numero di pale eoliche, anche su piattaforme galleggianti al largo della costa. Ma quale è stata la mano che ha tolto il progetto ravennate dal Recovery Plan? Il Pd, soprattutto in Emilia Romagna, è scontento della scelta su Ravenna. Lo stesso premier Conte ai tempi degli Stati generali e del Piano Colao si era espresso a favore. Il Tesoro prudente su una estremizzazione dei temi green sembrerebbe aver subito la scelta. Persino Matteo Renzi, in cerca di armi per combattere durante la crisi, sarebbe stato disponibile a sollevare il problema, ma alla fine non lo ha fatto. Allora chi è il deus ex machina dell’idrogeno green? Gli indizi convergono sul ruolo del ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli. “No gas” è stato lo slogan non pronunciato dai Cinque Stelle. Lo dimostra il tentativo – non riuscito – per introdurre nel decreto Milleproroghe di fine anno il divieto di trivellare l’Adriatico per cercare gas naturale. Eppure,tutti gli operatori elettrici hanno avuto la possibilità – di recente – di convertiré a gas per prossimi 25 anni le vecchie centrali a carbone ancora in attività. E su questo anche il M5S è favorevole. Eni, da parte sua, si consolerà con il progetto al largo delle coste inglesi: assieme alla norvegese Equinor andrà a “rinchiudere” nei giacimenti esausti al largo della baia di Liverpool la C02 degli impianti industriali della regione.